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Tra le questioni (ri)aperte dalla crisi ucraina ve n’è una che riguarda da vicino il continente europeo e le istituzioni stesse della UE: la difesa comune e l’esercito europeo.

Si tratta di un aspetto che ha alle spalle trascorsi sedimentati nel tempo, fin dall’epoca in cui la guerra fredda era reale ed autenticamente percepita come tale.

Sull’ipotesi di un ripetersi degli scenari della guerra fredda per come l’abbiamo già conosciuta è da tempo in corso un dibattito, cui, probabilmente, l’azione russa in Ucraina ha in parte dato risposta. Si parla dunque di nuova guerra fredda, giacché quella che abbiamo conosciuto dal 1945 al 1989 aveva ben altre peculiarità, oggi non più riscontrabili.

Prima di tutto manca quella contrapposizione ideologica germinata da due visioni opposte dei rapporti socio-economici, cui oggi fa da contraltare una quasi identica propensione ed accettazione delle regole del libero mercato. Dunque, i punti di scontro non sono più sul modello da applicare ma sui nodi strategici da occupare o dai quali non essere tagliati fuori. Nessuno pensa minimamente di mettere in discussione il liberalcapitalismo, unico vero vincitore della prima guerra fredda.

L’altro aspetto che crea una cesura netta tra la prima guerra fredda e la nuova che va ormai consolidandosi è la presenza di un terzo pilastro sovrano, il cui peso economico e militare è sempre più assimilabile ai due contendenti già noti. Stiamo parlando della Cina Popolare, il cui PIL è dieci volte maggiore di quello russo, sebbene ancora sostanzialmente inferiore a quello USA. (1)

Se però guardiamo alla propensione alla crescita delle tre economie, non possiamo non notare che quella cinese è indubbiamente la più vivace, tant’è che per il 2022 si stima per Pechino un incremento del 5,1% del pil, a fronte del 3,7% per l’area euro, dell’1,75% per gli USA ed una flessione del 10% per la Russia. (2)

Questi dati ci svelano dunque un panorama prossimo futuro con ben determinate caratteristiche:

1) l’ormai prossimo traguardo dell’equiparazione tra le economie di Cina e USA, con la prima che, secondo stime accreditate, addirittura sorpassera’ la seconda entro i prossimi dieci anni.

2) Le economie di USA, area UE e Russia non potranno sostenere il tasso di crescita cinese e, dunque, si troveranno automaticamente a dover rallentare i loro investimenti in ambito militare (sebbene in Europa si stia pensando di invertire il corso sull’onda della crisi ucraina).

3) La tendenza da parte USA di alleggerire il proprio impegno strategico in Europa (sperando appunto nei maggiori sacrifici degli europei), concentrando più attenzioni e risorse sull’area Indo Pacifica.

Queste ipotesi dipingono quindi lo scenario di quella che sarà la Nuova Guerra Fredda, non più con due attori protagonisti e alcuni comprimari, ma con tre attori ed un nutrito gruppo di comparse, più o meno influenti nel determinare i movimenti di un articolato meccanismo globale.

Appare dunque ben più complesso il compito degli analisti di oggi, rispetto a quello di chi analizzava lo scenario della prima guerra fredda. Il sistema dei pesi e contrappesi è radicalmente diverso. L’assenza di schemi ideologici rende tutto più liquido e mutevole, l’esistenza di attori economicamente di peso ma militarmente ininfluenti (UE) oppure militarmente ed economicamente non più sottovalutabili in prospettiva strategica (India), ci presentano un quadro in continuo divenire, spesso leggibile con estrema difficoltà anche da parte degli addetti ai lavori.

Il decennio che abbiamo di fronte è poi alquanto più complesso, poiché tutti gli attori, grandi e meno grandi, sono al bivio di scelte strategiche  che tracceranno uno scenario di cui solo in parte riusciamo ad individuare i contorni.

Una di queste scelte è la nascita dell’esercito europeo. Da un punto di vista strettamente formale non si tratta di nulla di nuovo, dato che di questo argomento si parla ormai da tempo immemore, ma il recente Consiglio Europeo riunitosi a Versailles il 21 marzo per discutere sulle misure sanzionatorie alla Russia, è stata l’occasione per il varo di Bussola Strategica.

Sgombriamo subito il campo da equivoci: Bussola Strategica è ben lungi dall’essere la riproposizione della CED, abortita nel 1954 per l’opposizione francese al riarmo tedesco. Per lo meno per quello che si può comprendere dal documento ufficiale elaborato dal Consiglio.

Innanzi tutto Bussola Strategica nasce nel bel mezzo di una crisi politica e militare che interessa il cuore stesso del continente e c’è da credere che senza di essa nessuno dei membri UE avrebbe posto l’argomento sul tavolo; nonostante la crisi in questione sia sul terreno dal 2014 e la Russia morda il freno per l’accerchiamento strategico in Europa da almeno venti anni.

Insomma, sul tema sicurezza ed esercito comune, l’Europa ha fatto sempre finta di non esistere. Ha disciplinato di tutto e di più, occupandosi di formaggi e marmitte per auto, ma si è pressoché disinteressata di un caposaldo dell’esistenza stessa di una organizzazione politica: la politica della difesa. Su questo argomento la UE ha sempre preferito svicolare il problema, un po’ per evitare di dover spendere ingenti risorse e un po’ per la classica ritrosia a dover mettere a fattor comune qualcosa di fortemente tangibile come le forze armate.  Ma sicuramente il maggior ostacolo è stata l’esistenza dello scudo Nato, vera e propria ala protettrice di gran parte dei paesi dell’Europa dal lontano 1949. L’Europa, di fatto, a parte qualche sporadica sortita ipernazionalistica, a partire dal 1949 ha affidato gran parte della sua sicurezza ad un organismo, di cui gli USA sono stati e sono ancor oggi l’assoluto ed indiscusso dominus. Ma – dicevamo – il vento pare aver preso una diversa direzione visto che sembra sempre più evidente un  alleggerimento dell’impegno statunitense in Europa e sul Medio Oriente ed un aumento delle attenzioni nell’area Indo Pacifica, dove Washington gioca il confronto cruciale con il vero rivale dei prossimi decenni. Sarà un confronto dagli esiti incerti poiché si tratta di due potenze talassocratiche che delegano ad altri la loro influenza sul continente eurasiatico, gli USA alla UE e la Cina alla Russia.

È dunque in questa prospettiva che qualcosa sembra muoversi a Bruxelles: in questa ottica futuribile va detto che Bussola Strategica deve necessariamente essere considerata una specie di dimostratore di quello che la UE sarà chiamata a mettere in campo. Il solo pensare che una forza di cinquemila unità ed alcune centinaia di superspecializzati rapidamente utilizzabili in ogni angolo del pianeta, unitamente ad una maggiore cooperazione tecnologica in chiave militare, siano fattori sufficienti per essere protagonisti negli scenari futuri è da ritenere assolutamente fuori luogo.

Se invece Bussola Strategica, da semplice dimostratore si trasformasse in incubatore di progetto di medio-lungo periodo capace di portare alla nascita di un vero esercito europeo, allora potremo dire che la UE ha scelto di fare un passo decisivo per trasformarsi in qualcosa che non è mai stata e che non abbiamo mai visto.

Chiaro è che nell’ottica di un esercito comune, dipendente da un unico vertice di comando, dovranno essere riviste le modalità di approccio alle crisi internazionali da parte del decisore politico dell’Unione.

Allo stato attuale, però, dobbiamo rimanere consapevoli che nel breve-medio periodo l’Europa continuerà ad essere legata in modo sempre più stretto agli USA (le richieste di Svezia e Finlandia di aderire alla NATO sono su questa linea), e che l’alleggerimento dell’impegno USA in Europa sarà controbilanciato da un incremento degli impegni militari di paesi come Germania, Polonia e forse anche Italia. Ma sempre nel solco della scelta atlantica che, oggi più che mai, nessuno si sente di mettere in discussione.

Ecco dunque che è verosimile concludere che se Bussola Strategica avrà mai un seguito operativo, tale da condurre ad un embrione di esercito europeo, quest’ultimo sarà quasi certamente una pedina strategica del sistema di difesa nordatlantico e permetterà a Washington di liberare risorse e forze per rafforzare la sua presenza sul fronte Indo Pacifico in funzione anticinese.

 

Fernando Volpi

21.04.2022

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Note

(1) Nel 2020 il pil USA è stato stimato in 20,94 migliaia di miliardi di dollari, quello cinese in 14,72 migliaia di miliardi, mentre quello russo di 1,48 migliaia di miliardi di dollari (Fonte: Banca Mondiale)

(2) La stima della flessione del pil russo è stata fatta da Goldman Sachs ed è riconducibile al sistema sanzionatorio applicato a livello internazionale per la guerra mossa all’Ucraina.

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