Sab. Lug 27th, 2024

Premessa

Lo scopo di questo articolo è l’analisi dei fattori politici, economici e sociali che influenzano l’economia nazionale; tali fattori sono determinanti nella fase di progettazione di qualsiasi modello economico/politico. E’ evidente che le forze politiche istituzionali hanno compiuto gravose speculazioni in capo politico-economico con il fine di garantirsi il consenso di ampie fasce della popolazione, tuttavia tali speculazioni trovano spesso il loro limite naturale nella “conformazione“ costituzionale del nostro Paese rendendole così inattuabili. Per costruire una nuova prospettiva per l’economia nazionale non si può prescidere da un profondo processo di riforma costituzionale, la Costituzione nella sua conformazione attuale è il primo ostacolo sulla strada di qualsiasi forma di riforma economica.

Costituzione ed Europa

Le politiche economiche di un Paese si attuano mediante interventi legislativi, quindi se si vogliono introdurre incentivi, o nuove disposizioni in materia previdenziale o tributaria lo si dovrà fare esclusivamente tramite legge o atto avente forza di legge. La legge ha come “limite naturale” la Costituzione, questo significa che una legge deve rispettare il dettame costituzionale e qualsiasi legge che sia in contrasto con questo è considerata illegittima.

Quindi abbiamo visto che esiste un confine che è la Costituzione, tuttavia questo confine è Stato “allargato” alle disposizioni europee, quindi esiste un livello che si “sovrappone” a quello costituzionale che è costituito dalla normativa europea. Vediamo ora quanto l’Europa ha influito nel processo di legiferazione del nostro Paese, per comprendere ciò iniziamo dall’art. 10 della Costituzione il quale prevede che “l’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute”. Tale disposizione nacque contestualmente con la Costituzione stessa in un momento storico dove l’Europa intesa come struttura economica e politica unitaria non esisteva, la norma in esame era principalmente connessa con l’esigenza di aderire alle Nazioni Unite.

Se l’articolo 10 subordina il nostro ordinamento giuridico alle norme di diritto internazionale esso non ha l’incidenza del successivo art.11 il quale stabilisce quanto segue: ”l’Italia consente in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”; questo articolo riprende quanto già introdotto precedentemente in materia di “subordinazione” agli ordinamenti internazionali e introduce un nuovo concetto che oggi sta rivelando tutta la sua influenza nella nostra politica interna, cioè la limitazione della sovranità.

Tuttavia solo con la legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 è Stato definitivamente introdotto il riferimento all’ordinamento comunitario infatti troviamo “La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali”; quindi si parla di potestà legislativa dello Stato ma vincolata dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali.

L’ultimo tassello per l’effettiva europeizzazione della Costituzione è avvenuto con la legge costituzionale 1/2012 la quale introduce il cosiddetto “pareggio di bilancio“. Il pareggio di bilancio rappresenta l’elemento definitivo che collega le politiche di bilancio nazionali con quelle europee, nei capitoli successivi spiegheremo di cosa si tratta.

In questa breve analisi, dunque, abbiamo visto come la nostra Costituzione già dalla sua nascita abbia previsto un meccanismo di “subordine” ad elementi di diritto internazionale e abbia successivamente recepito principi tipici dell’ordinamento comunitario con particolare riferimento al bilancio dello Stato, ciò si traduce in una profonda limitazione dei poteri dello Stato in materia di politiche economiche e nella quasi totale estromissione da quelle monetarie.

Il pareggio di bilancio: dal Trattato di Maastricht al Fiscal Compact

Abbiamo visto come l’ordinamento comunitario influisce sull’ordinamento nazionale tuttavia prima di inoltrarci nell’esaminare l’influenza delle politiche europee di bilancio nell’ordinamento nazionale è necessario parlare brevemente di come le “normative” comunitarie vengano recepite dall’ordinamento nazionale sulla base delle nostre disposizioni costituzionali.

L’ordinamento europeo si basa su dei trattati sottoscritti dagli Stati aderenti, e produce atti di natura normativa, quali i regolamenti, e atti con efficacia vincolante, le direttive. I trattati e i regolamenti europei sono self executing, cioè sono applicati nel nostro ordinamento alla stregua delle nostre leggi, le direttive, invece non possiedono la caratteristica dell’essere self executing, tuttavia hanno comunque il potere di vincolare le politiche dello Stato membro. Se un regolamento europeo prevede una certa condotta mentre quello italiano ne prevede un’altra, si applicherà il regolamento europeo e questo grazie alla nostra Costituzione che lo permette.

Premesso quanto sopra, ora ricostruiamo brevemente la storia delle politiche di bilancio europee ed italiane partendo dal Trattato di Maastricht del 1992 nel quale si disciplinarono materie come la finanza pubblica degli Stati Membri con regole riguardanti la mutua sorveglianza delle politiche fiscali nazionali e si stabilirono le procedure da attivarsi nel caso in cui un Paese membro presentasse un disavanzo eccessivo.

Nel 1997 al Trattato di Maastricht si aggiunse il Trattato di Amsterdam, con il quale si stabilirono parametri ancora più restrittivi in materia di disavanzo per i Paesi membri, da questo trattato nasce il Patto di Stabilità e Crescita (PSC) con cui gli Stati Membri si impegnano a raggiungere ogni anno almeno un bilancio in pareggio (o addirittura in surplus). Il trattato prevede l’instaurazione di un sistema di sorveglianza delle posizioni di bilancio dei Paesi membri e una serie di sanzioni nei confronti di quei Paesi che non abbiano adottato adeguati provvedimenti per correggere una situazione di eccessivo disavanzo.

Nel 2011 il Parlamento Europeo ha adottato un pacchetto di riforme dotato di sei misure, chiamato appunto “Six Pack”, con lo scopo di riformare il governo economico europeo ed introdurre regole più stringenti sulla sorveglianza e prevenzione degli squilibri macroeconomici.

Tra questi provvedimenti troviamo il Semestre Europeo con il quale l’EU elabora indirizzi per le politiche economiche e la politica di Bilancio Prudente nel quale viene assegnato ad ogni Paese membro un obbiettivo di bilancio a corto e medio termine, il quale sarà successivamente verificato. Relativamente alla politica di disavanzo. Questa prevede che gli Stati membri il cui rapporto tra debito pubblico e PIL supera il 60%, dovranno adottare delle misure per ridurlo ad un ritmo adeguato (è prevista una riduzione negli ultimi tre anni di almeno 1/20 all’anno rispetto all’eccedenza). In caso di violazione dei suddetti parametri l’UE potrà applicare una sanzione costituita da una parte fissa dello 0.20% del PIL dello Stato membro, più una parte variabile.

Il 2012 è l’anno del Trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance dell’Unione Economica e monetaria (TSCG), noto come “Fiscal Compact”, con il quale si riprendono i principi già contenuti nel Six Pack, e in aggiunta a questi rinforza l’unione economica e monetaria, adotta una serie di regole intese a rinsaldare la disciplina di bilancio, il coordinamento delle politiche economiche dei Paesi membri ed una revisione della governance della zona euro.

Del Fiscal Compact sono di particolare rilevanza le 3 regole:

  • La prima regola impone agli Stati Membri che i propri bilanci siano in pareggio o in avanzo. Per i Paesi membri il cui rapporto tra  debito pubblico e PIL è inferiore al 60%, il deficit strutturale è ammesso fino all’1% del PIL.
  • La seconda regola conferma quanto già disposto dal Six Pack, e cioè che, nel caso di superamento del valore di riferimento del 60% nel rapporto tra debito pubblico e PIL, il Paese membro dovrà procedere alla riduzione del disavanzo ad un ritmo medio di 1/20 all’anno.
  • La terza ed ultima regola prevede che, quando si evidenzino deviazioni significative dell’obiettivo di medio termine stabilito, è attivato automaticamente il meccanismo di correzione, con l’obbligo per il Paese interessato, di attuare misure per correggere le deviazioni in un periodo di tempo definito.

Tutte le politiche di bilancio europee hanno comportato il recepimento nella politica nazionale di bilancio di ogni Stato membro. In Italia queste sono state recepite attraverso due importanti interventi legislativi: rispettivamente la legge costituzionale 1/2012, pareggio in bilancio in costituzione e la legge 243/2012 la quale le reca disposizioni per l’attuazione del principio del pareggio di bilancio. Con questi due interventi normativi tutta la politica di bilancio del Paese, dagli enti statali a quelli periferici, è basata su politiche fiscali basate sul modello europeo ad a questo assoggettate direttamente o indirettamente.

Una nuova prospettiva

Abbiamo visto come la normativa europea sia nella maggior parte dei casi direttamente applicabile nel nostro Paese ma non solo, abbiamo visto come, anche quando questa non lo sia, la nostra legislazione si debba adeguare agli obbiettivi definiti nelle direttive. La politica di bilancio europea stabilisce i limiti entro i quali ogni Paese si deve muovere, inoltre l’EU è anche l’organo preposto al controllo del rispetto di tali parametri con competenza di irrogare le sanzioni o di inviare i “suggerimenti” in caso di violazione.

Tale modello di subordinazione giuridica è espanso ad altri settori come ad esempio la politica monetaria, la politica bancaria, la libera concorrenza, i trasposti etc… e il tutto si traduce in una progressiva ed inesorabile riduzione della sovranità del Paese ed in una limitazione delle politiche che questo può attuare in tali settori. I partiti politici istituzionali, nonchè le formazioni extraparlamentari, nella maggior parte dei casi si limitano a criticare le politiche europee e a promuovere ricette che comunque hanno come limite la stessa politica comunitaria.

Esistono diversi modelli economici applicabili in momenti di crisi, come quello che sta investendo la nostra economia attualmente, quali la nazionalizzazione dei settori strategici dell’economia, l’immissione di liquidità, la divisione delle banche commerciali da quelle di investimento etc… tuttavia qualsiasi scelta, nell’attuale scenario, è necessariamente subordinata alla politica economica e finanziaria europea e dunque per questo di fatto di difficile attuazione.

Pensare all’introduzione di un nuovo modello economico senza considerare seriamente l’uscita dall’Unione Europea non ha alcun senso, come non ha alcun senso uscire dall’Unione Europea senza modificare profondamente la carta costituzionale del Paese. Qualsiasi iniziativa paventata come la moneta parallela, titoli di Stato usati come liquidità corrente etc… non ha alcun senso se non si slega il sistema economico nazionale da quello europeo. Qualsiasi azione che comporti l’innalzamento del debito pubblico porterebbe e di fatto porta il Paese ad un sempre maggiore controllo da parte dell’Unione Europea arrivando a far perdere al Paese anche quella forma decisionale residuale sulla propria politica economica.

Non ci si può permettere di parlare di un nuovo orizzonte economico nazionale senza parlare di “indipendenza” economica, finanziaria e monetaria. Oggi le forze politiche istituzionali parlano di “maggiore autonomia” oppure di “maggiore flessibilità” ignorando che esiste un legame di dipendenza con la politica economica europea e che questo legame è penetrato come un virus nelle nostre istituzioni giuridiche e sociali soggiogandole.

Non può esistere una politica economica nazionale se lo Stato non può deciderne le sorti e non si può parlare di programmazione economico finanziaria nazionale se questa si deve sviluppare all’interno di parameti imposti da un ente sovranazionale. Non esistono programmi politici “No Eu” slegati dalle riforme costituzionali, la stessa Costituzione ci lega inesorabilmete ai trattati sovranazionali istituzionalizzando così le cessioni di sovranità.

La nuova prospettiva economica nazionale deve avere come base l’indipendenza la quale deve essere garantita dal testo costituzionale stesso.

 

Simone Castronovo

28.05.2022

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