Gio. Nov 7th, 2024

Alla fine del ‘700, gli echi della Rivoluzione Francese risuonavano nel resto del continente europeo, trovando il consenso degli strati più bassi della società e catturando l’attenzione dei giovani del tempo che vennero immediatamente sospinti da questi contrastanti aneliti rivoluzionari.  Un moto che ebbe il suo avvento in una Francia corrosa dai debiti contratti dall’Ancien Régime e da disastrose condizioni finanziarie, che avevano messo l’allora discusso e poco abile sovrano francese, Luigi XVI, nella condizione di dover convocare d’urgenza gli Stati Generali, soprattutto perché il fragile e corrotto sistema monarchico francese aveva ridotto il popolo francese letteralmente alla fame ed era prossima al collasso.

In questo mutato clima sociale e politico, anche il nostro contesto nazionale – seppur ancora suddiviso e frammentato in ducati, granducati, regni, principati e repubbliche – venne parzialmente interessato da questa ventata rivoluzionaria, che riuscì ad ammaliare e catturare l’attenzione di filosofi, letterati, ecc. e che riuscirà a cambiare in maniera indelebile la visione del mondo e della società nella sua interezza. Un già mutato continente che, nel periodo successivo alla Rivoluzione e al Terrore robespierriano, divenne ben presto il palcoscenico di un abile militare corso di chiare origini italiane, che dominerà l’intero Continente e cambierà per sempre la fisionomia sociale, politica e culturale dell’Europa, Napoleone Bonaparte (1769 – 1821).

Sulla gigantesca e controversa figura di Napoleone Bonaparte si è scritto, detto, raccontato ed analizzato in lungo e in largo, arrivando a dividere ancora oggi gli storici e l’opinione pubblica, tra chi lo considera un despota e chi lo ritiene il più grande innovatore ed incidente personaggio storico, secondo solo a Gesù Cristo; un accentratore che, in poco tempo, è riuscito ad ammaliare migliaia di suoi contemporanei e, al contempo, a farsi odiare dalle vecchie aristocrazie europee. Tra coloro che sono stati letteralmente rapiti in gioventù dal fascino politico e militare di Napoleone, vi fu il poeta e scrittore italo-greco, Ugo Foscolo, che a ridosso della napoleonica “Campagna d’Italia” del biennio 1796 – 1797, trovò nell’allora generale francese una guida che potesse realizzare quegli obiettivi che avrebbero potuto permettere ai suoi contemporanei di svincolarsi dalle catene della servitù forgiate dall’occupazione straniera.

La figura di Napoleone fece da sfondo soprattutto in tre produzioni di Foscolo: “A Napoleone liberatore”, “Dei Sepolcri” e “Ultime Lettere a Jacopo Ortis”, che consegnò ai posteri un ritratto letterario e politico su come avvenne il cambiamento di approccio nei confronti del futuro Imperatore francese, soprattutto a seguito del Trattato di Campoformio del 1797.  Nell’iniziale visione del giovane Ugo Foscolo, Napoleone era un uomo carismatico, non necessariamente appartenente alla nazione insorgente, ma capace di rappresentare quegli ideali di libertà che tanto andavano ricercando persone come lui, il quale, inizialmente, ne era un fervido sostenitore e scrisse per lui una dedica, risalente al 1799, che introduceva l’ode intitolata “A Bonaparte liberatore”, una ode composta da nove strofe, ciascuna di ventisei versi, endecasillabi e settenari. Foscolo, in questa ode, tesseva le lodi di quell’uomo tanto acclamato che aveva in pugno le speranze e le illusioni di un’intera generazione. Foscolo si rivolse direttamente a Napoleone:

Io ti dedicava questa Oda quando tu, vinte dodici giornate e venticinque combattimenti, espugnate dieci fortezze, conquistate otto provincie, riportate centocinquanta insegne, quattrocento cannoni e centomila prigionieri, annientati cinque eserciti, disarmato il re sardo, atterrito Ferdinando IV, umiliato Pio VI, rovesciato due antiche repubbliche, e forzato l’imperatore alla tregua, davi pace a’ nemici, costituzione all’Italia, e onnipotenza al popolo francese. Ed ora pur te la dedico non per lusingarti col suono delle tue gesta, ma per mostrarti col paragone la miseria di questa Italia che giustamente aspetta restaurata la libertà da chi primo la fondò. Possa io intuonare di nuovo il canto della vittoria quando tu tornerai a passare le Alpi, a vedere, ed a vincere! Vero è che, più che della tua lontananza, la nostra rovina è colpa degli uomini guasti dall’antico servaggio e dalla nuova licenza. Ma poiché la nostra salute sta nelle mani di un conquistatore; ed è vero pur troppo che il fondatore di una repubblica deve essere un despota, noi e per i tuoi beneficj, o pel tuo Genio che sovrasta tutti gli altri dell’età nostra siamo in dovere di invocarti, e tu in dovere di soccorrerci non solo perché partecipi del sangue italiano, e la rivoluzione d’Italia è opera tua, ma per fare che i secoli tacciano di quel Trattato che trafficò la mia patria, insospettì le nazioni, e scemò dignità ai tuo nome. È pare che la tua fortuna, la tua fama, e la tua virtù te ne abbiano in tempo aperto il campo. Tu stai sopra un seggio donde e col braccio o col senno puoi restituire libertà a noi, prosperità e fede alla tua Repubblica, e pace all’Europa. Pure nè per te glorioso, nè per me onesto sarebbe s’io adesso non t’offerissi che versi di laude. Tu se’ omai più grande per i tuoi fatti che per gli altrui detti: nè a te quindi s’aggiugnerebbe elogio, nè a me altro verrebbe tranne la taccia di adulatore. Onde t’invierò un consiglio, che essendo da te liberalmente accolto, mostrerai che non sono sempre insociabili virtù e potenza, e che io, quantunque oscurissimo, sono degno di laudarti, perché so dirti fermamente la verità. Uomo tu sei e mortale e nato in tempi ove la universale scelleratezza sommi ostacoli frappone alle magnanime imprese, e potentissimi incitamenti al mal fare. Quindi o il sentimento della tua superiorità, o la conoscenza del comune avvilimento potrebbero trarti forse a cosa che tu stesso abborri. Né Cesare prima di passare il Rubicone ambiva alla dittatura del mondo. Anche negli infelicissimi tempi le grandi rivoluzioni destano feroci petti ed altissimi ingegni. Che se tu aspirando al supremo potere sdegni generosamente i primi, aspirando alla immortalità, il che è più degno delle sublimi anime, rispetterai i secondi. Avrà il nostro secolo un Tacito, il quale commetterà la tua sentenza alla severa posterità. Salute. Genova, 5 agghiacciatore, anno VIII.

Ben presto, a causa del Trattato di Campoformio (1797), che sancì la cessione di Venezia, dell’Istria e della Dalmazia all’Austria e che riconobbe l’assetto dato da Napoleone alle regioni conquistate in Italia, affiorò tutta la delusione di Foscolo. Gli effetti del Trattato – vissuto da Foscolo come un vero e proprio tradimento – verranno così ripresi dal poeta attraverso il romanzo dell’Ortis del 1802: «Il sacrificio della patria nostra è consumato: tutto è perduto; e la vita, seppure ne verrà concessa, non ci resterà che per piangere le nostre sciagure, e la nostra infamia. Il mio nome è nella lista di proscrizione, lo so: ma vuoi tu ch’io per salvarmi da chi m’opprime mi commetta a chi mi ha tradito?».

Nonostante questo “tradimento”, ciò non scalfì, almeno per qualche tempo, il fatto che per Foscolo, Napoleone continuasse a costituire l’unica possibilità di fondare le premesse per una futura realtà italiana unita ed indipendente. Lasciata Venezia, l’autore dei Sepolcri si trasferì a Milano, capitale della Repubblica Cisalpina, dove incontrò importanti scrittori come Giuseppe Parini. Nel 1799, si arruolò come volontario nella Guardia Nazionale napoleonica istituita per combattere l’asse austro-russo e partecipò, tra il 1799 e il 1801, a diverse battaglie in Emilia e a Genova. Dopo la ben nota battaglia di Marengo (1800) ottenne il grado di capitano e si trasferì a Milano. La vita letteraria e privata di Foscolo continuerà a camminare di pari passo con le vicende dell’Imperatore francese (l’editto di Saint-Cloud emanato da Napoleone nel 1806, sarà una delle fonti di ispirazione per la stesura del carme dei Sepolcri), sino alla parabola finale del 1815 a Waterloo, che sancì la definitiva uscita di scena di Napoleone, prima della morte di quest’ultimo del 5 maggio 1821 avvenuta sull’isola di Sant’Elena.

In conclusione, possiamo scorgere un coerente quanto contrastante sentimento che lega il grande poeta all’Imperatore franco-corso di origini italiane, nonostante Napoleone deluse in parte le aspettative sia del giovane che dell’adulto Foscolo, anche se il patrimonio di idee si propagarono nel continente europeo e da cui probabilmente prese spunto il sentimento risorgimentale italiano.

Italia, Italia, con eterei rai

Su l’orizzonte tuo torna l’aurora

Annunziatrice di perpetuo sole”.

Giovanni Gallo

22.05.2023