Ven. Ott 4th, 2024

Secondo ben oliata prassi si parla di disastri solo quando è successo l’irreparabile, come i famosi buoi scappati dalla stalla, che non vogliono più rientrare. E’ il ritornello di sempre in un paese come l’Italia, che da troppo tempo considera il territorio indifferentemente come cespite che produce solo spesa o come risorsa che deve garantire un reddito. Nella imperfetta, sciagurata e perversa logica della mano invisibile di quel feticcio oracolare c chiama libero mercato, il quale chiede di tagliare ciò che costa e di spremere fino al limite ciò che rende. Ecco allora che diventa secondaria la gestione del territorio come buone regole vorrebbero, siano esse di natura agricola, che idraulica. Ed ecco, soprattutto, che ogni lembo di territorio deve avere un suo risvolto economico, che tradotto significa: se non guadagna produce solo costi.

Soprassediamo sull’aspetto mercatista di questa concezione della Madre Terra (come la chiamavano popoli ben più saggi di noi scomparsi sotto i colpi di maglio del “progresso”), giacchè entreremmo in una dimensione per palati troppo fini e sfoceremmo inevitabilmente nelle facili critiche dei pratici a tutti i costi. Per farla breve, verremmo additati come i soliti philosophes privi di concretezza. Al contempo, evitiamo di arrampicarci in disquisizioni di fisica del clima, che lasciamo volentieri ai milioni di neo Bernacca in giro per la penisola, così come ai Red Ronnie riconosciamo senza problemi il primato di un complottismo da operetta che regala aerei spiraleggianti ed insistenti sopra Bologna a spruzzare ioduro d’argento per creare catastrofi naturali.

Detto questo, e fatta la doverosa premessa che non siamo in grado di esprimere un giudizio scientificamente fondato e provato (qualcuno è sicuro di poterlo fare?) sugli squilibri climatici che la narrazione attualmente in voga reputa essere i responsabili di tutto quanto di anomalo sta accadendo (scioglimento delle calotte glaciali, alluvioni, siccità, acidificazione dei mari e via dicendo), ci limitiamo a due valutazioni facilmente riscontrabili ed una conclusione.

Ripartendo dalla considerazione di carattere economicista del primo capoverso, saremmo veramente curiosi di conoscere quanto si è investito negli ultimi decenni in Italia per la tutela del territorio. Intendiamo risorse vere per progetti veri, non soldi buttati qua e là’ senza senso come spesso accade. Parliamo di educazione al rispetto della terra, di insegnamento fattivo di buone pratiche colturali ed idrauliche, di attivazione di politiche per il territorio e sul territorio, di politica sanzionatoria (Mio Dio! guai ad usare un termine così politicamente scorretto) nei confronti di tutti gli abusivisti, di creazione di una forma mentis che consideri la terra come madre da rispettare e non matrigna da saccheggiare. Parliamo insomma di tutto quello che fino a qualche decennio fa si faceva normalmente da parte dei nostri contadini che, senza avere lauree, master o studi di alte scuole, mettevano in pratica ciò che per millenni era stato fatto prima di loro: avere cura della terra secondo le regole non scritte di scientia et sapientia tramandate da tempo immemore. Ciò nonostante, non dovremmo mai dimenticarci e dovremmo sempre tener umilmente presente che sono ben documentati eventi disastrosi anche nei secoli passati, caso mai ci fosse da ricordare all’Homo Oeconomicus che la Natura se ne frega dei bilanci da depositare in camera di commercio. Essa, semmai, ci ricorda cosa può accadere se si pensa solo ai bilanci e se non si utilizza l’intelletto e gli studi acquisiti per far tesoro delle esperienze catastrofiche.

Dall’acqua che crea disastri perchè ne arriva troppa tutta assieme, passiamo ai disastri per mancanza o scarsità di acqua. Per non farci mancare nulla – o forse sarà per la geografia del nostro paese – dobbiamo comunque registrare dai dati ISTAT che in Italia siamo ai livelli più alti nella UE per spreco di risorsa idrica, tanto da consumarne 980 mc. annui a testa a fronte di un paese come la Grecia che ne consuma esattamente la metà e che l’efficienza con la quale la risorsa idrica viene utilizzata per produrre valore (di qualsiasi tipo) è la più bassa in Europa. Praticamente buttiamo via l’acqua in modo sconsiderato. Sempre dati ISTAT, peraltro supportati da studi dell’ISPRA e di altri enti scientifici, ci dicono che per 1 kg. di carne bovina servono oltre 15 mila litri di acqua, mentre per 1 kg. di suino ne servono 6 mila. Considerando poi che il 37% della superficie irrigua nazionale è utilizzata per produrre alimenti per animali da macellare, per i quali occorre 1/3 di tutta l’acqua irrigua e che circa 320 milioni di metri cubi di acqua servono ogni anno solo per abbeverare e lavare le stalle, va da sè’ che le quantità di risorsa idrica che ogni anno necessitano per muovere l’ingranaggio delle colture industriali e dell’allevamento intensivo è mastodontico. Tradotto in termini pratici, significa che l’Italia, sprovvista di grandi corsi d’acqua, tra colpevole spreco e consumo obbligato da un sistema di sostentamento privo di alternative (su questo si potrebbe ragionare!), va in crisi dopo un mese che non piove.

E veniamo alla conclusione: se piove intensamente per più di 24 ore ci troviamo di fronte ad alluvioni e a intere aree sommerse da metri di acqua, con ovvie situazioni di calamità da dover affrontare negli anni a venire in termini di investimenti per la ricostruzione e per gli aiuti da parte dello Stato. Se non piove per un mese siamo al disastro opposto, pure in questo caso con tutto il portato in termini di sovvenzioni/aiuti e dichiarazioni di stati di calamità. Ma a ragionare asetticamente, senza fare proclami per raccogliere voti nelle onnipresenti tornate elettorali, non si sente quasi nessuno, tanto meno, come scrivevamo sopra, si fanno politiche serie per il territorio. Anche ammettendo l’esistenza di processi climatici negativamente impattanti, i dati inconfutabili che da anni sono a disposizione di tutti ci dicono che stiamo saccheggiando e violentando la terra. Possiamo dunque vestirci con i panni che più ci piacciono, diventare accaniti ecologisti o cinici negazionisti, aderire alla cordata delle cassandre oppure a quella contraria, ma i dati certi sono disponibili per chiunque. E i dati dicono chiaramente che stiamo erodendo quotidianamente territorio per poi, come se non bastasse, gestirlo in modo sconsiderato e che stiamo consumando acqua in modo esasperato per alimentare un modello di sviluppo sempre meno sostenibile. 

Vedere ovunque le giacchette nere di Matrix alla caccia di Neo o gli uomini senza volto di criminali associazioni esoteriche a creare cicloni è forse soluzione di comodo. Intendiamoci, non è che dobbiamo abbassare la guardia nei confronti di potentati più o meno anonimi che ogni santo giorno cercano di prevaricare o dettare le loro regole, ma forse ogni tanto sarebbe cosa buona guardarci intorno, aprire bene gli occhi e capire cosa L’Uomo sta facendo alla Natura.

Un esame di coscienza è sempre più difficile da digerire rispetto ad un alibi intrigante, ma sarebbe bene cominciare ad applicarsi di più sugli studi seri piuttosto che sulle fantastiche teorie del complotto. Alla fine sono entrambe a portata di click.

Fernando Volpi

22.05.2023