Lun. Dic 2nd, 2024

Tempo di lettura: volontariamente indefinito.

Come Istituto Italiano di Storia e Cultura Europea non potevamo esimerci dall’inaugurare una rubrica dedicata ai Mondi Digitali entrando immediatamente in ambiti di critica (intesa nella più nobile delle accezioni) riguardanti il rapporto fra cultura e tecnologia digitale, dando inizio ad una serie di articoli che esamineranno quelle che con termini più moderni vengono definite Digital Humanities. Umanesimo digitale, quindi, argomento che il nostro Istituto ritiene fondamentale, e che svilupperemo nel tempo con vari contributi.

Come molti naviganti si saranno accorti, da non molto tempo nel complesso mondo dell’editoria web è in uso determinare all’inizio di ogni contributo telematico il chimerico Tempo di Lettura. Questa perniciosa indicazione dovrebbe – almeno in teoria – fornire al potenziale lettore un comodo strumento per decidere se la lunghezza dell’articolo è confacente con la durata prestabilita e da lui dedicata a quella particolare attività. Un qualsiasi articolo di quotidiani on line, di blog, o di sito specializzato, viene recintato non in base alla qualità o ad una semplice classificazione contenutistica (categorie) ma bensì in base al suo (presumibile) periodo di lettura. Il paradigma è quantomai devastante: si considera e si classifica il lettore, più che come una mente pensante, come piuttosto un mero fruitore di notizie e/o nozioni che andrà a consumare e poi ad espellere probabilmente entro poche ore.

ESISTENZA DIGITALE TEMPORIZZATA

E proprio qui emerge il primo abominio di una società ormai totalmente temporizzata: la saturazione totale di ogni singolo istante della giornata. Complesse ed efficienti teorie di viral marketing ci andrebbero sicuramente a spiegare, che con questa indicazione il lettore può ottimizzare al meglio il consumo dell’articolo prescelto in base alla disponibilità preconfezionata secondo labirintici processi mentali di parcellizzazione dell’attenzione.

La gestione del tempo in una società completamente algoritmizzata composta da individui connessi 24h al giorno, diventa perciò fondamentale. Ed ecco che questo utile suggerimento diventa uno strumento ulteriore per soffocare pedissequamente la giornata digitale dell’uomo postmoderno. L’articolo prescelto, ben scandito dal suo tempo di lettura verrà quindi comodamente inserito in un’esistenza in cui un vero e proprio profluvio digitale di informazioni vanno ad impattare su moltitudini di cervelli che spesso non hanno le capacità neuronali di assimilarli.

Qualche anno fa, ormai più di dieci, comparve nelle librerie un libro piuttosto completo e complesso di Nicholas Carr. Rileggerne qualche passo ci fornisce spunti interessanti: “Una pagina di testo online visto sullo schermo di un computer può sembrare simile a una pagina di testo stampato su carta. Ma farlo scorrere e cliccare sui link di un documento del Web richiede azioni fisiche e stimoli sensoriali molto diversi da quelli necessari a tenere in mano e sfogliare le pagine di un libro o di una rivista. (…) Combinando tipi molto diversi di informazioni su un unico schermo, la Rete multimediale spezzetta il contenuto e interrompe la concentrazione. Una singola pagina Web può contenere brani di testo, video, audio, un insieme di strumenti per la navigazione, pubblicità varie e molti piccoli applicativi software o “widget” che girano nelle loro specifiche finestre. Tutti sappiamo quanto possa distrarre questa cacofonia di stimoli. Ci scherziamo sopra in continuazione. Un nuovo messaggio di posta elettronica si annuncia mentre diamo un’occhiata alle ultime notizie nel sito di un giornale online. Pochi secondi dopo, il lettore rss ci comunica che uno dei nostri blogger preferiti ha inserito un nuovo post. Un momento dopo, il cellulare pigola per segnalare l’arrivo di un nuovo messaggio di testo. Simultaneamente, la finestra di avvertimento di Facebook e Twitter lampeggia sullo schermo. Oltre a tutto ciò che fluisce attraverso la Rete abbiamo accesso immediato agli altri programmi che girano sul computer; anch’essi lottano per conquistare un pezzo della nostra mente. Ogni volta che accendiamo il computer, ci tuffiamo in un “ecosistema di tecnologie dell’interruzione…“ (N. Carr, Internet ci rende stupidi? Come la rete sta cambiando il nostro cervello, 2011, Raffaello Cortina Editore). Ed è proprio in questo ecosistema compulsivo e quasi mefistofelico che rileviamo come importante la questione del tempo.

CLASSI DI UTILIZZATORI

La seconda conseguenza di questo ambiente ormai totalmente eterodiretto dalle dinamiche digitali è senz’altro quello discriminatorio. Il cosiddetto tempo di lettura screma immediatamente la platea di fruitori, provocando nel possibile lettore uno scompenso emozionale e cognitivo. Il risultato è presto ottenuto: si va a dividere – quasi in modalità classista – i possibili lettori in varie caste di utilizzatori a seconda della loro capacità cognitiva in termini temporali ed intellettuali, o, peggio ancora in base alla propria volontà cognitiva.

Ecco perché abbiamo scomodato il termine umanistico. Quando si discerne di comprensione e di interpretazione di testi l’atteggiamento critico verso gli ipertesti (ossia verso i testi fruibili su device) non deve essere apocalittico né crepuscolare ma un processo deve essere rispettato: il Bit non deve mangiare il Logos.

CONCENTRAZIONE… DI CONSUMI

Diversi studi anche piuttosto recenti hanno dimostrato che l’Homo del XXI secolo, nativo digitale o baby boomers che sia, sta subendo un processo di diminuzione dell’efficacia della propria capacità di concentrazione. E sicuramente le più moderne teorie di comunicazione hanno ben percepito questo processo e stanno agendo in maniera eterodiretta guidando i vari environment digitali ad autoregolarsi verso tempi di passaggio, e quindi di lettura, sempre più veloci. L’audience digitale infatti deve essere indotta a percorrere le autostrade digitali in maniera sempre più vorace.

I blog o i siti che ospitano reportage, opinioni, discussioni politiche o anche semplici contenuti di tipo culturale o ricreativo tendono quindi a preferire brani di lunghezza minore che attraggono lettori che senza nemmeno accorgersene leggono ma non memorizzano praticamente nulla fuori dall’ambito consumer. La capacità di memorizzare un contenuto, infatti, si innesca solo in un contesto di piena concentrazione; concentrazione che non è attivabile in un contesto che duri pochi minuti.

La lettura diventa perciò esclusivamente un esercizio di voyeurismo digitale, un meccanismo di nutrimento nozionistico superficiale e non più un processo di arricchimento interiore, impegnato o ludico che sia.

POPOLI MEDIOCRI

Anche a livello sociale le carenze sono evidenti; la lettura è’ un’attività cognitiva fondamentale per la crescita di un popolo o di una comunità e l’utilizzo di nuovi e moderni supporti digitali non deve cambiarne le peculiarità. Il progresso non deve eterodirigere le attività cognitive ma facilitarle attraverso una maggiore diffusione possibile di materie umanistiche, tecniche o scientifiche, ma senza che il volano sia consegnato a multinazionali private che come unico scopo hanno il lucro.

Questi perversi meccanismi di approccio ai contenuti da parte dei singoli individui, carenti fin dall’età scolastica, ma anche turbinosi durante l’età universitaria e successivamente lavorativa, non aiutano certo la crescita anche a livello comunitario, e l’inadeguatezza anche a livello nazionale – a partire dalle classi dirigenti – appaiono sempre più evidenti. Servirebbe quindi un processo di riconversione immediata che ponesse tra le priorità di una vera attività di governo la revisione di tutte le attività didattiche a livello nazionale ed il varo di un sistema di processi formativi che accompagni il cittadino durante tutta la sua esistenza.

CONSIDERAZIONI FINALI

Tutto ciò premesso a chi scrive appare fin troppo evidente che l’approccio umanistico a qualsiasi brano di lettura deve essere depurato da un timer che lo delimiti.

Il Tempo di Lettura è un utensile vacuo e agilmente fastidioso, una clessidra insidiosa che scandisce l’utilità di alcuni istanti delle nostre vite, un rubinetto che velocizza l’esistenza digitale, un vermilinguo che la pauperizza cognitivamente, che la rende meno impegnativa e quindi meno stimolante.

Fate a meno di questo strumento; ne gioveranno le vostre facoltà cognitive.

 

Riccardo Berti

05.04.2022

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