Era il 2000 quando nell’ambito dell’Unione Europea si iniziò a parlare di difesa comune, nello specifico si mossero i primi passi verso quella che verrà chiamata Politica di Sicurezza e Difesa (PESD). Il luogo simbolo dell’ambizioso progetto fu Helsinki dove nel vertice che ebbe luogo nel 1999 gli Stati membri decisero di istituire quella che sarà conosciuta come European Rapid Reaction Force, ma non solo, Helsinki fu il trampolino di lancio per future iniziative atte a creare infrastrutture e politiche comunitarie in campo militare.
Fu istituito anche il Comitato militare dell’UE (EU Military Committee), il quale nelle previsioni operative avrebbe dovuto fornire supporto al Comitato politico e di sicurezza (Political and Security Committee), fu inoltre istituito lo Staff militare europeo (EU Military Staff) e un protocollo operativo, su base volontaria, per creare una forza di azione rapida che avrebbe dovuto intervenire su scenari di crisi internazionale. Il rapporto tra la nascente forza d’azione rapida e la NATO avrebbe dovuto essere di natura complementare; è chiaro che già allora da molti fu vista più come una mossa politica che una reale volontà di costruire un sistema di difesa/intervento in seno all’Unione Europea.
Con gli attentati del 2001 la NATO costituì Forza di Reazione Rapida della NATO con compiti di intervento in scenari militari esterni ai paesi aderenti. Di pari passo l’UE continuò nel suo progetto di costituzione e rafforzamento della propria forza di intervento rapido arrivando a creare un contingente di 7.000 uomini che fino al 2013 fu impegnato in 16 missioni all’estero diverse.
Se qualche passo verso un’attività militare «esterna» è indiscutibile, rimane invece dubbia la reale volontà di un sistema di difesa comune «interno», e questo in ragione dei diversi interessi degli Stati membri, ed in particolare di quelli con un elevato potenziale militare. Le maggiori divergenze furono tra paesi come la Francia e il Regno Unito (allora membro dell’Unione) e Germania, Spagna e Italia, e tali divergenze si concretizzavano negli interessi nella creazione di un apparato militare comune, ovvero questo avrebbe dovuto essere funzionale ai paesi europei per consolidare la propria presenza all’estero in scenari militarmente destabilizzati, mentre il secondo blocco era più interessato alla difesa interna e al ricorso del sistema militare comune come mezzo di integrazione europea.
Sulla base di tali divergenze il processo di integrazione militare europea subì una prima battuta d’arresto per poi iniziare un percorso ad ostacoli segnato da subentro di diversi interessi non ultimi quelli della Nato e degli Stati Uniti. Alla fine del percorso ad ostacoli, segnato da iniziative di dubbia efficacia come quelle dei Battlegroups, Air-to-Air refuelling capacity e il programma Medium Altitude Long Endurance si arrivò solo ad una raccomandazione verso gli stati europei dove si sottolinea la necessità di cooperazione tra gli Stati membri per fronteggiare eventuali minacce esterne, ma non solo, tale epilogo fu dovuto anche dalla NATO per la quale il programma militare europeo avrebbe avuto ragione di esistere esclusivamente in chiave complementare, e non alternativa, alla NATO stessa.
In questo scenario, ben lontano dall’idea di difesa comune, molti commentatori hanno visto di buon occhio l’intervento degli Stati membri nell’attuale crisi ucraina, secondo questi i programmi comuni di invio di armi costituirebbero un decisivo passo verso la realizzazione del tanto agognato progetto di difesa comune, è tuttavia opinabile tale opinione in quanto alcuni degli stati membri hanno più volte manifestato il disappunto dell’operazione di approvvigionamento militare all’Ucraina, prime fra tutti la Germania e l’Ungheria.
Dall’inizio della guerra in Ucraina abbiamo assistito a un consolidamento della NATO, sul piano militare internazionale, la quale ha dettato le «istruzioni» all’Europa per l’invio degli armamenti. La crisi ucraina ha semplicemente consolidato quanto emerse già nel 2014, ovvero che qualsiasi iniziativa militare europea ha senso ma solo in chiave complementare con le operazioni NATO.
Simone Castronovo
01.03.2023