Lun. Dic 2nd, 2024

La lealtà non è una catena, neppure la disciplina. Il ricordo rende libera la prima e la seconda.

Nei suoi lunghi secoli di storia, l’Europa ha saputo dare corpo all’intelletto e lo spirito delle sue genti. Ciò che diamo per scontato oggi, è il frutto di un lungo, antico crescere. Pare che la modernizzazione sia oblio, volontario o indotto. Pare che per dar senso al futuro del post-modernismo, sia necessario, indispensabile, non ricordare. Eppure l’etimologia del termine ricordare è a dir poco romantica e non solo per le lingue romanze. Dal latino, il ricordare è il richiamare al cuore (re-cor, tornare al cuore), usato non per rievocare struggenti malinconie, il ricordare, per i latini, più che un sogno fatuo era un sentimento concreto, un’esperienza sensibile diretta, riconsultare il passato per capire come continuare a prendersi cura di ciò che siamo e di ciò che saremo. Cura ed anche responsabilità per il presente ed il futuro.

Tanto è vero che, il suo contrario, dimenticare, abbandona il cuore, e riporta la causa alla sola mente (fare uscire dalla mente), se il cuore non lo sa la mente dimentica. Nelle lingue non romanze il senso fisico è ancora più potente, dall’antico sassone fargetan, l’antico frisone forjeta, l’olandese vergeten, il tedesco vergessen, il significato è perdere la propria presa, perdere la cura per, dunque non perdendo la presa, si potrebbe riconoscere lo scollamento tra istituzioni e comunità umana, a quanto sembra, almeno a me, un solco, una faglia profonda che ci tiene lontani da qualcosa che qualcuno preferisce non sia mai raggiungibile.

Un antico crescere, però, crea radici profonde e forti, rinsalda i meccanismi interni, rafforza, migliorando, gli aspetti esterni. A Cirene, in Grecia, Aristippo, colmo di dubbio sulla reale natura delle azioni umane, singolari o collettive, le ritenne misurabili di volta in volta, rispetto alla percezione di piacere immediato che procuravano. Un piacere tendente alla ricerca del bello intrinseco dell’azione stessa, i cirenaici non se ne avranno a male se si ritenesse traslabile lo stesso concetto, anche verso gli strumenti necessari al compimento dell’azione stessa. Si transita dal dubbio per accedere alla bellezza, un insegnamento antico che, molto probabilmente, muove quella crescita silenziosa e costante, patrimonio esclusivo degli europei. Dubbio metodologico e ricerca dell’aureo, premesse culturali per ogni attività umana. Alla ricerca del bello, non si può non ricordare Roma, nonostante tale ricordo induca pretestuose critiche, trasformando la storia in un labile assunto propagandistico, il non aver cura di ciò che si è stati falsifica reiteratamente il presente.

Ebbene l’unità dell’Europa era costruita sulle triplici fondamenta di cultura, diritto e lingua a loro volta poggiate saldamente su Roma ed il suo sviluppo, anche facendo finta che non sia successo, i processi culturali, etnici e giuridici derivanti, sono stati ciò che oggi siamo, ciò che sembriamo è la sovrapposizione di una maschera destinata ben presto a cadere.

Esiste un equilibrio universale nel quale vi è compresa l’intera Umanità, per ristabilirlo è necessario, fondamentale, l’apporto dell’Europa e le sue genti e quel giorno del 509 A.C. (non propriamente ieri), una Comunità umana di contadini, pastori e signori, poggiava quelle 12 tavole che avrebbero coinvolto decine di etnie, ancora ignare della grande costruzione a cui avrebbero partecipato. L’evento fu catartico, dopo aver espulso il superbo etrusco, a Roma, la Res Pubblica, era retta da un conciliabolo di magistrati in un primo momento provenienti solo dalla classe dei patrizi. Fu un momento singolo all’interno di un processo che di fatto ebbe inizio con la “Secessione dell’Aventino” del 494 A.C., una rivendicazione sociale, un moto di popolo con una motivazione partecipativa.

Alcuni studiosi si beano nel definirla “lotta di classe”, sminuendo e svilendo la reale portata dell’evento. Se le 12 tavole rappresentano l’inizio di una codificazione di diritto eminentemente privato, è altrettanto vero che questo fu possibile grazie all’esistenza di un istituto giuridico ben più importante, un istituto pubblico, appunto la Res Pubblica, e solo all’interno di questo istituto pubblico che la manifestazione della norma garantisce la ricezione inter-soggettiva del messaggio normativo. Agli inetti materialisti classisti, mi preme ricordare che nonostante tutto, la Repubblica, quale forma di stato agognata, desiderata, amata, voluta, sia implicitamente tendente all’uguaglianza funzionale e all’organicità strutturale, la caratteristica dell’essere di tutti implica la ricerca costante di equilibrio e non la sostituzione di un potere con un altro potere, che in ogni caso sarebbe una farsa e forse lo è stata. Sorrisi per alcuni e lacrime per altri è la viltà delle moderne istituzioni, desiderose, anzi bramose di conflitti. Il diritto della Res Pubblica garantiva il privato per tutelare il Pubblico tutelando il privato per garantire il Pubblico, Roma nel suo essere di tutti spiegava al mondo di allora che, assicurare certezza alimentava qualcosa di spirituale, l’idea di Roma depositata in quel mondo di bellezza assoluta verso il quale solo noi europei siamo naturalmente protesi. Fatto sta che la trasformazione del diritto, da consuetudinario a codificato, lo rese quella scienza che tuttora è, fatto sta che quella scienza fosse correlata e dipendente ad un immanente senso comune, un’idea perfetta di giusto, di uguale, di protezione della Libertà del singolo e del corpo unico dell’insieme. Sorte meno benevola ha avuto, invece, l’impianto pubblicistico.

Dopo la caduta dell’Impero si alimentarono divini motivi per allontanare il più possibile umane partecipazioni. Si dovette aspettare sino al 1789 per ridare al termine la dignità perduta, da quel giorno tra imponenti crescendi e precipitose cadute, l’Europa ricordò quel passato così moderno che l’aveva resa e la rendeva unica, almeno fin tanto che non intervenne la contromossa reazionaria, che trasportò gli europei oltre lo Stige della lotta di classe, nell’inferno dell’uso et abuso privato della cosa pubblica. Scomparso il canone giuridico troppo comunitario di Bellum iustum, la trasformazione del lessico assegnò a conflitto il compito di mentire. I lunghi e disastrosi anni di dialettica politica basata sul conflitto, hanno deviato il corso del fiume verso le stagnanti acque dove la stessa dialettica oggi giace.

Non stupisce l’abbondanza di slogan pubblicitari nei quali necessariamente si individua un male da estirpare, all’interno di un sistema più ampio dove si determina ciò che è male assoluto. L’uso congiunturale della dialettica politica muove a rimorchio l’informazione, il dibattito scientifico di qualsiasi natura, il costume della stessa società. Nel mutevole sotto insieme del male, di volta in volta si individuano quei conflitti, riflesso del male assoluto, che scatenano le abiure, i cambi di casacca, i voltafaccia le improvvise mutazioni di priorità, il caos smodato della biblica torre alla quale si intende abituare per sempre l’Umanità. Fa il paio all’ignobile farse, l’ancora più ignobile argomentazione economica, trascinando di peso verso l’abisso, intelligenza, creatività, ingegno, socialità, solidarietà, morale ed etica, lavoro e benessere.

Le premesse per attendere il prodigio della mutazione della forma di stato. Da tempo è in uso l’abitudine all’uso congiunturale della stessa Carta Costituzionale in solitaria opera della maggioranza di turno, quella carta che riconosce l’Italia come Repubblica! Suonano profetiche le parole del Professor Temistocle Martines che ammoniva, proprio in quegli anni ‘90 incipit dell’aggressione a quel sistema di valori tipicamente europeo: “Nell’ora del crepuscolo delle istituzioni,  quando le nebbie dello smarrimento collettivo ed il buio del degrado civile, politico e morale si infittiscono sempre più, occorre levare, forte e decisa, la voce in difesa della Repubblica.”  (In difesa della Repubblica, in Democrazia e Costituzione – Comitato per la difesa ed il rilancio della Costituzione – n. 0 del 27 marzo 1993, 5 s., ora anche in Opere, I, Milano 2000, 603)

Difendere la Repubblica e preservare la dignità del diritto.

Riportare al cuore, difendere prendendosi cura di ciò che siamo stati. Il liberismo francese ha riconfermato il Presidente Macron, l’enfant e la maestra non lasceranno l’Eliseo che potrà brillare ancora del luccichio delle paillettes nella indispensabile giornata dell’orgoglio omosessuale. I francesi della Libertà hanno disertato in massa il ballottaggio, 28% di astensione che sommata alla percentuale di schede bianche e nulle 8%, portano coloro che non si sono voluti esprimere al 36%. Inusuale per le elezioni più partecipate d’Europa.

Il senso etico di Repubblica, l’attaccamento alla propria Libertà sono codici genetici stampati su ogni individuo di ogni etnia delle decine di etnie che hanno costruito quest’Europa che non risiede a Bruxelles e per assurdo non risiede neanche a Roma, è un ricordo fisico patrimonio di tutti, una caratteristica che determina e descrive un ruolo civilizzatore che ancora appartiene a queste e solo a queste terre. La nostra terra di terre, l’Europa.

Se il salottismo perbenista ma rivoluzionario, patetico ossimoro spacciato per la nouvelle religione dell’ammore per tutti e di tutti, rigetta come scandalosa l’identità, forse sarà il caso di cominciare a parlare di ri-evoluzione.

Se il cuore lo sa, la mente non dimenticherà mai.

 

Roberto Laficara

04.06.2022

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