Lun. Dic 2nd, 2024

n Italia c’è un malato cronico che da decenni agonizza, versando nel più completo disfacimento fisico e morale, senza che nessuno sia in grado di porre rimedio al suo stato: parliamo del potere giudiziario. In verità è un paziente che non desta moti di compassione, anzi è fortemente temuto, visto che ogni volta che ha potuto essere superbamente zelante e cattivo nell’usare il suo smisurato potere lo ha fatto, anche senza ritegno, in barba a molte di quelle regole di cui avrebbe dovuto essere custode e garante. Già da diversi anni e da diversi schieramenti politici il dibattito è aspro e spesso è finito nelle aule dei tribunali, ricordandoci in maniera pedissequa come il potere giudiziario italiano fosse da sempre uno dei peggiori buchi neri del nostro sistema istituzionale.

Intendiamoci, quando lo definiamo malato cronico è perché guardiamo la questione dall’angolo visuale del cittadino, ovvero dalla parte di chi, in qualsiasi momento, potrebbe avere la necessità di rapportarsi con la macchina della giustizia italiana e doverne sperimentare sulla propria pelle le enormi falle. È evidente che se immaginassimo di guardare la cosa da ben altra visuale, vale a dire da quella dei magistrati, la faccenda assumerebbe tutto un altro risvolto: al posto di un malato cronico, incapace di gestire in modo decente il proprio compito, troveremmo uno scenario rose e fiori di integerrima rettitudine e attaccamento ai principi più sacri della costituzione italiana e della democrazia.

È in questa contraddizione, paradigmatica di uno stato dove il solco tra paese reale e paese legale è divenuto incolmabile, che c’è gran parte dell’Italia. L’Italia dei mille e spesso inutili ed improduttivi campanili; del degrado morale e della corruzione (1); dell’inefficienza sistematica come sottoprodotto fisiologico della macchina pubblica; dell’assunto ormai acquisito che ciò che è pubblico deve camminare ad una velocità dimezzata rispetto al resto del paese; delle caste di beneficiati cui fanno da contraltare masse di “sfigati” senza santi in paradiso. Insomma, un paese che invece di camminare con convinzione verso standard europei, lo si vede scivolare sempre di più nelle sabbie mobili dello stagno terzomondista.

Alcuni giorni fa uno strumento di autentica democrazia popolare aveva messo a disposizione degli italiani la possibilità di pronunciarsi sui vulnera della grande malata, noti sì da tempo, ma scoperchiati come il classico vaso di Pandora solo in seguito allo scandalo Palamara, ovvero quando uno del sistema – e non uno qualunque – ha messo nero su bianco il verminaio che prolifera sotto la coltre conformista e benpensante dell’amministrazione della giustizia italiana. Ben 5 quesiti referendari hanno chiesto agli italiani di tracciare un rigo definitivo su dei strumenti di legge che garantiscono alla magistratura ed ai suoi metodi organizzativi una inefficienza ed una politicizzazione inaccettabili. E gli italiani? Niente, se ne sono andati al mare, garantendo un’affluenza alle urne di appena il 20% e, dunque, rendendo nulli i 5 referendum sulla giustizia.

Ai tanti che quotidianamente protestano in ogni luogo ed in ogni piazza su tutto quello che non va in questo paese (e la giustizia lo è, basta guardarsi un po’ di statistiche) (2) ci sarebbe da dire che non ci dispiacerebbe di vederli sotto le cure di qualche magistrato che deve la sua carriera al correntismo politico piuttosto che alle capacità dimostrate nel lavoro. Non ci dispiacerebbe affatto vedere qualche buontempone superficialotto doversi difendere come un neo Enzo Tortora da accuse infamanti partorite dalla mente fumosa di un PM in cerca di notorietà e carriera facile. Purtroppo però tra i tanti buontemponi che si sono disinteressati ci può essere chiunque, anche uno di quel 20% che è andato a dire la sua.

A chi oppone a queste considerazioni il fatto che in Italia lo strumento del referendum abrogativo è stato abusato e spesso svuotato del suo scopo primario, andrebbe risposto che in questa occasione non si chiedeva di esprimere un parere sul transito degli elettrodotti nei fondi agricoli, bensì una risposta ampia e squisitamente politica alle modalità con cui un gruppo ristretto di persone (la Magistratura) gestisce uno dei tre poteri fondamentali di uno stato di diritto. Ampia e squisitamente politica perché i quesiti referendari incentrati sulla giustizia erano ben 5, tutti di somma importanza. Se l’80% degli italiani si fosse un po’ informato e avesse trasformato la sua naturale tendenza alla protesta da bar in qualcosa di un po’ più concreto, dichiarando la sua disapprovazione alle metodologie di casta con cui viene gestito un potere dello Stato, non sarebbe stato troppo facile disattendere quel giudizio popolare. E forse qualcuno avrebbe cominciato a sentire i sassolini sulle scarpe diventate improvvisamente un po’ più strette. 

Invece nulla di tutto questo. La giustizia italiana continuerà ad essere governata da una ristretta casta, nel mentre che si fa strame degli altri due poteri dello Stato: il potere legislativo ormai quasi del tutto sottratto ad un Parlamento composto di asseveratori ed il potere esecutivo sempre più appannaggio di dirigenti inamovibili e Capi di Governo che nessuno ha mai votato.

In questo stato di cose, chi di continuo si richiama a Montesquieu o a Tocqueville e ad ogni piè sospinto si sciacqua la bocca con le teorie sulla divisione dei poteri, dovrebbe solo un pochino guardare cosa succede in Italia in pieno XXI secolo. Ma lo faccia togliendosi il paraocchi, sennò lo sfavillio creato ad arte potrebbe venir facilmente scambiato per oro.    

 

Fernando Volpi

19.06.2022

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Note

(1) https://www.infodata.ilsole24ore.com/2022/01/25/litalia-al-42simo-posto-nella-classifica-della-corruzione-ed-andata-meglio-dello-scorso-anno/ 

(2) https://ec.europa.eu/info/sites/default/files/file_import/european-semester_thematic-factsheet_effective-justice-systems_it.pdf 

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